Matrimonio
- Matrimonio e dichiarazione di nullità
- Gli effetti della dichiarazione di nullità
- Motivi di nullità
- Iter procedurale: dall’introduzione del libello alla sentenza
Matrimonio e dichiarazione di nullità
I principi basilari dell’ordinamento matrimoniale presentano il matrimonio come un patto coniugale con cui un uomo e una donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, patto che per sua natura è ordinato al bene dei coniugi e alla procreazione ed educazione della prole (cf. canone 1055 § 1 del C.D.C.). Le sue proprietà essenziali sono l’unità e l’indissolubilità (canone 1056). Tra due battezzati il patto coniugale è sacramento (cf. canone 1055 § 2). Questa realtà matrimoniale sorge dal consenso delle parti, legittimamente manifestato tra un uomo e una donna giuridicamente abili. Il consenso è l’atto di volontà con cui l’uomo e la donna, con patto irrevocabile, danno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio (cf. canone 1057).
Dal patto coniugale sorge una realtà indissolubile e, se rato et consummato, non può essere sciolto da nessuna autorità umana (Giovanni Paolo II, Allocuzione agli uditori della Rota Romana, 21 gennaio 2000, n.7).
Esprime in modo chiaro questa realtà il Catechismo della Chiesa Cattolica (n.1640): «Il vincolo matrimoniale è dunque stabilito da Dio stesso, così che il matrimonio concluso e consumato tra battezzati non può mai essere sciolto. Questo vincolo, che risulta dall’atto umano libero degli sposi e dalla consumazione del matrimonio, è una realtà ormai irrevocabile e dà origine ad un’alleanza garantita dalla fedeltà di Dio. Non è in potere della Chiesa pronunciarsi contro questa disposizione della sapienza divina». Qualora tuttavia si presenti una situazione matrimoniale fallita e «sorgano legittimamente dei dubbi sulla validità del matrimonio sacramentale contratto, si deve intraprendere quanto è necessario per verificarne la fondatezza» (Benedetto XVI, Esortazione Apostolica Sacramentum Caritatis, n.29).
In tale orizzonte pastorale, svolgono il loro ministero i Tribunali Ecclesiastici, offrendo ai fedeli un servizio per la ricerca della verità sulla loro situazione matrimoniale. Infatti, «lo scopo del processo è la dichiarazione della verità da parte di un terzo imparziale, dopo che è stata offerta alle parti pari opportunità di addurre argomentazioni e prove entro un adeguato spazio di discussione; questo scambio di pareri è normalmente necessario, affinché il Giudice possa conoscere la verità e, di conseguenza, decidere la causa secondo giustizia» (Benedetto XVI, Allocuzione agli uditori della Rota Romana, 28 gennaio 2006). Quando un Tribunale Ecclesiastico emette una sentenza sulla nullità o meno di un matrimonio, dichiara che dalla celebrazione del matrimonio è scaturito un vincolo valido oppure nullo. Per tale motivo, non esiste un 'annullamento' del matrimonio (sebbene nell'uso corrente questo modo errato di dire sia ampiamente diffuso), bensì una 'dichiarazione di nullità' del matrimonio.
Gli effetti della dichiarazione di nullità
- Effetti religiosi: quando un matrimonio è dichiarato nullo, le parti acquisiscono lo stato di ‘libero’ dal vincolo coniugale e possono celebrare validamente un matrimonio sacramentale. Se alla sentenza è stato aggiunto un ‘divieto di accedere a nuove nozze‘ (inconsulto Ordinario loci o inconsulto Tribunali), è necessario che il Parroco che prepara il fascicolo per il nuovo matrimonio chieda all’Ordinario della Diocesi di rimuovere tale divieto, utilizzando l’apposita modulistica predisposta da questo TEIB. (richiesta del nubente e richiesta del parroco). La Diocesi a cui bisogna fare riferimento è quella nel cui territorio ricade il domicilio della persona a cui il divieto è stato apposto. Il divieto ha lo scopo di esaminare la nuova richiesta di matrimonio affinché non permangano le stesse cause che hanno fatto dichiarare nullo il matrimonio precedente. Dopo la dichiarazione di nullità, tutte le coppie che abbiano già contratto matrimonio civile possono sposarsi in chiesa (evidentemente se entrambi sono ‘liberi’ per la legge canonica).
- Effetti civili: le decisioni prese dal Tribunale Ecclesiastico possono essere riconosciute dallo Stato Italiano tramite un procedimento detto ‘delibazione‘. Tale procedimento non è automatico, in quanto deve essere attivato da almeno una delle parti. La delibazione può sostituire la sentenza di divorzio. Il giudizio se riconoscere o no le decisioni ecclesiastiche spetta al Giudice italiano della competente Corte di Appello. La delibazione può sortire degli effetti di tipo economico, generalmente sull’assegno di mantenimento dell’ex coniuge. Tuttavia, nel caso in cui la questione economica fosse già stata risolta con la sentenza di divorzio, emessa dal tribunale civile, la delibazione non può in alcun modo modificare quanto già stabilito.
- Effetti sui figli: la legislazione italiana non prevede alcuna discriminazione tra figli nati fuori del matrimonio e figli nati da genitori separati o divorziati. La dichiarazione di nullità del matrimonio, pertanto, non ha alcun effetto sul rapporto genitori-figli, che è garantito dalla legge italiana. Anche nella Chiesa i figli rimangono tali per sempre e a carico dei genitori restano tutti gli obblighi educativi ed economici.
Motivi di nullità
La celebrazione del matrimonio richiede che il consenso sia posto tra un uomo e una donna giuridicamente abili (ossia non inabilitate da impedimenti) e secondo le solennità previste dalla legge (in ossequio cioè alla forma canonica). I motivi di nullità del matrimonio riguardano, pertanto, la mancanza della forma canonica, la presenza di impedimenti dirimenti non dispensati, un vizio o difetto del consenso.
Non vanno poi dimenticate altre situazioni in cui esistono le condizioni per chiedere la concessione della dispensa per un matrimonio non consumato oppure non sacramentale.
Gli impedimenti (canoni 1073-1094 del C.D.C.)
La presenza di un impedimento in uno dei due contraenti al momento del consenso rende nullo il matrimonio (canone 1073), salvo dispensa dall’impedimento quando questa è possibile.
Gli impedimenti possono riguardare la capacità personale al matrimonio e avere origine da un comportamento delittuoso oppure sorgere da un vincolo familiare.
Impedimenti che riguardano la capacità personale:
- Età: l’età minima prevista per l’uomo è di 16 anni, mentre per la donna è di 14 anni (cf. canone 1083). La Conferenza Episcopale Italiana, per la liceità, richiede per entrambi la maggiore età (cf. Decreto generale sul matrimonio canonico, nn.36-37).
- Impotenza assoluta e perpetua (canone 1084), ossia la mancanza di capacità di porre l’atto sessuale naturale nell’ambito del concreto rapporto coniugale. La sterilità non rientra in tale fattispecie.
- Vincolo ancora sussistente di un precedente matrimonio valido (canone 1085). Si richiama la realtà dell’indissolubilità del matrimonio;
- Ordine sacro (canone 1087) o voto pubblico perpetuo di castità emesso in un Istituto religioso (canone 1088);
- Disparità di culto, ossia la mancanza del battesimo di uno dei due contraenti (canone 1086). In tale modo si intende favorire la vita di fede della parte cattolica; inoltre si è consapevoli della prevedibile maggiore difficoltà nella realizzazione della comunione di vita del matrimonio in presenza di grosse disparità in merito alla fede religiosa. A particolari condizioni è possibile la dispensa (canoni 1127-1129 e Decreto generale sul matrimonio canonico, nn.48-52).
Impedimenti che sorgono da comportamento delittuoso:
- Ratto: non è possibile costituire un valido matrimonio tra l’uomo e la donna rapita o almeno trattenuta allo scopo di contrarre matrimonio con essa, se non dopo che la donna, separata dal rapitore e posta in luogo sicuro e libero, scelga liberamente e spontaneamente il matrimonio (canone 1089);
- Crimine: l’impedimento sorge come conseguenza dell’uccisione – a cui si è concorso materialmente o come mandante – del proprio o altrui coniuge per poter celebrare il matrimonio con una persona determinata (canone 1090).
Impedimenti da vincolo coniugale, che sorgono a seguito di:
- Legame di consanguineità in linea retta e fino al quarto grado incluso della linea collaterale (canone 1091);
- Legame di affinità in linea retta (canone 1092), ossia tra il futuro marito/moglie e ascendenti o discendenti della futura moglie/marito (Decreto generale sul matrimonio canonico, n.39);
- Legame di parentela legale che sorge da adozione, o in linea retta o nel secondo grado della linea collaterale (canone 1094).
La forma canonica
La forma canonica deve essere osservata se almeno una delle parti contraenti il matrimonio è battezzata nella Chiesa cattolica o in essa accolta (canone 1117), salva la dispensa dell’Ordinario del luogo per gravi cause (cf. canone 1127 e Decreto generale sul matrimonio canonico, n.50).
La forma canonica consiste nello scambio del consenso alla presenza dell’Ordinario del luogo o del parroco oppure del sacerdote o diacono delegati da uno di essi, i quali chiedono la manifestazione del consenso dei contraenti e la ricevono, in nome della Chiesa, alla presenza di due testimoni (canone 1108 § 1-2). Al matrimonio tra due parti orientali o tra una parte latina e una parte orientale cattolica o non cattolica, assiste validamente solo il sacerdote (canone 1108 § 3).
I vizi del consenso (canoni 1095-1099 e 1101-1103 del C.D.C.)
Vista l’importanza del consenso matrimoniale come elemento fondamentale ed insostituibile per la costituzione del matrimonio, si è sempre prestata grande attenzione a questa realtà e a quello che, a vari livelli, può impedire l’emissione di un valido consenso. Nella maggior parte dei casi, poi, i capi di nullità del matrimonio riguardano possibili difetti e vizi del consenso. Essi possono sorgere da un’incapacità psichica, da un difetto volontario del consenso o da un vizio della libertà del consenso medesimo.
Prima di presentare brevemente i capi di nullità, si ricorda che – per esserci nullità del matrimonio – devono essere presenti al momento dello scambio del consenso.
L’incapacità psichica fa riferimento al canone 1095 ed è presente quando un nubendo (uno dei due contraenti), per cause di natura psichica:
- Manca del sufficiente uso di ragione (canone 1095 n.1) – e quindi non è capace di quell’atto di volontà che è il consenso matrimoniale – a seguito di malattie mentali o psicosi di tipo permanente, oppure anche per alterazioni delle facoltà mentali di carattere contingente e transitorio presenti nel soggetto al momento della prestazione del consenso matrimoniale;
- Presenta un grave difetto di discrezione di giudizio (canone 1095 n.2). Si intende con tale termine sia la capacità di sufficiente valutazione critica dei diritti e doveri essenziali del matrimonio, sia la libera autodeterminazione nel decidere e farsi carico della scelta del matrimonio;
- E’ incapace di adempiere, sempre per cause di natura psichica, uno o più obblighi essenziali del matrimonio (canone 1095 n.3), come ad esempio il bonum coniugum (il bene dei coniugi), la generazione ed educazione della prole, la fedeltà e l’indissolubilità.
L’incapacità deve essere presente al momento del consenso matrimoniale. Essa poi non deve essere confusa con una difficoltà, per quanto consistente, a valutare criticamente e liberamente e ad assumersi la scelta matrimoniale o ad adempiere le obbligazioni essenziali della medesima. Per la valutazione della causa psichica e della sua gravità, nel corso dell’istruttoria (e talvolta anche nella fase preliminare), si ricorre all’ausilio di un perito.
Il difetto volontario del consenso fa riferimento alla simulazione – dunque, al canone 1101 § 2 – ossia alla discrepanza tra consenso interno dell’animo e parole o segni adoperati nel celebrare il matrimonio. Siamo alla presenza di un atto positivo di volontà, ossia di una scelta determinata della volontà effettiva del contraente, una vera decisione con cui si esclude il matrimonio stesso (simulazione totale) oppure una sua proprietà o elemento essenziale (simulazione parziale). Tale atto di volontà può essere posto in modo esplicito (diretto immediatamente verso l’oggetto dell’esclusione) oppure implicito (diretto solo mediamente ad esso), attuale oppure virtuale (ossia posto e non revocato in seguito, per cui continua a produrre il suo effetto). Vediamo brevemente i diversi capi di nullità:
- Si ha simulazione totale quando si nega la coniugalità del proprio consenso, da cui non si vuole far derivare alcun obbligo, bensì solo eventualmente qualche vantaggio estrinseco, per esempio di natura sociale o patrimoniale;
- Si parla di simulazione parziale quando il soggetto vuole il matrimonio, ma lo priva positivamente di un suo elemento o proprietà essenziale. Così, si esclude:
- La prole, ossia la strutturale ordinazione di princìpi del matrimonio alla procreazione, oppure, in altri termini, l’apertura alla fecondità del proprio matrimonio;
- L’indissolubilità, con la volontà determinata di non impegnarsi per sempre, per un motivo ideologico oppure pratico, indipendentemente da come si intenda poi liberarsi dal vincolo (per esempio tramite il divorzio);
- L’unità/fedeltà, con un’intenzione poligamica o comunque contraria all’esclusività della donazione di sé per il tramite della disponibilità esclusiva e perpetua della propria sessualità genitale;
- L’ordinazione al bonum coniugum (il bene dei coniugi); pur in assenza di un orientamento dottrinale e giurisprudenziale univoco, se ne può ipotizzare l’esclusione alla presenza di una positiva e programmatica negazione alla minimale disponibilità all’aiuto reciproco e al rispetto del coniuge, oppure di una volontà positiva e programmatica dell’imposizione di una vita sessuale gravemente pericolosa e/o immorale;
- La sacramentalità, ossia il valore di “sacramento” del matrimonio, sebbene parte consistente della dottrina la riconduca alla simulazione totale, vista l’identità e l’inseparabilità tra patto sacramentale e sacramento.
Esistono infine i vizi e difetti che intaccano la libertà del consenso:
- La violenza fisica o il timore grave (canone 1103). Quest’ultimo deve essere grave (oggettivamente o in riferimento al soggetto concreto), non intrinseco (quindi indotto dall’esterno da uno o più soggetti specifici) e anche non intenzionale al matrimonio da parte dell’inducente. Per liberarsi dal timore la persona è costretta a scegliere il matrimonio. Il timore può essere anche reverenziale, nel qual caso l’oggetto del timore è la perdita del rapporto di predilezione con colui che lo induce;
- L’errore sulla persona (canone 1097 § 1), ossia sulla sua identità fisica, non sulla sua personalità;
- L’errore di fatto circa una qualità personale dell’altro contraente (canone 1097 § 2), qualora questa qualità sia voluta in modo diretto, quindi esplicitamente, e principale, ossia prevalente rispetto all’oggetto istituzionale del consenso. In altre parole, la qualità – non frivola o banale – viene posta dal contraente come oggetto sostanziale del consenso medesimo, con la conseguente “strumentalizzazione” a essa della persona dell’altro;
- L’errore doloso (canone 1098), ossia un errore indotto dolosamente (dall’altro nubente o da terzi) per ottenere il consenso matrimoniale, errore riguardante una qualità fisica o morale dell’altra parte che, per sua natura, può perturbare gravemente la vita coniugale;
- L’apposizione di condizioni al consenso (canone 1102), nel qual caso si fa dipendere l’efficacia giuridica del consenso da un fatto ad esso esterno; la condizione può essere propria, ossia de futuro, oppure impropria, ossia de preterito o de praesenti. Nel primo caso, se posta, la condizione comporta la nullità del matrimonio. Nel secondo caso, il suo effetto dipende dall’adempimento o meno della condizione posta, anche se per la liceità serve la licenza scritta dell’Ordinario del luogo.
Il procedimento amministrativo e gli effetti giuridici
La dispensa
In presenza di un matrimonio non rato (cioè non sacramentale) o non consumato, è possibile chiedere la dispensa. Si tratta di una grazia che viene concessa al termine di un procedimento amministrativo (non giudiziale, come invece avviene per le cause di nullità matrimoniale) qualora siano presenti determinate condizioni.
- Il matrimonio non sacramentale è quello contratto tra una parte battezzata e l’altra non battezzata, oppure tra due non battezzati. Pur godendo di una indissolubilità intrinseca, a determinate condizioni può essere sciolto dal Romano Pontefice o ipso iure nel momento della celebrazione di un nuovo matrimonio cui l’autorità ecclesiastica ha ammesso il battezzato (canoni 1143-1150).
- Il matrimonio non consumato tra battezzati o tra una parte battezzata e una non battezzata, può essere sciolto per giusta causa dal Romano Pontefice (Privilegio Paolino), su richiesta di una o di entrambe le parti (canoni 1142 e 1697-1706 e Decreto generale sul matrimonio canonico, nn.63-66). Per consumazione del matrimonio si intende il compiere tra i coniugi, «in modo umano, l’atto coniugale per sé idoneo alla generazione della prole, al quale il matrimonio è ordinato per sua natura, e per il quale i coniugi divengono una sola carne» (canone 1061 § 1). In tal modo si evidenzia l’importanza della consumazione per il raggiungimento del significato interpersonale e simbolico della donazione coniugale.
Iter procedurale: dall’introduzione del libello alla sentenza
Il quadro normativo essenziale di riferimento è presentato dalle norme contenute nel Codice di Diritto Canonico del 1983, dall’Istruzione del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi Dignitas Connubii del 2005 e dal Motu Proprio di Papa Francesco Mitis Iudex Dominus Iesus del 2015 (a questi testi normativi ci si riferirà – in questo articolo e in tutte le altre pagine del sito – citandone rispettivamente gli acronimi ‘C.D.C.’ , ‘D.C.’ e ‘M.I.D.I.’).
Preliminare al processo è la consulenza pregiudiziale, che può essere offerta a titolo gratuito dalla Commissione Diocesana per la Pastorale Familiare oppure dal Patrono Stabile. E’ possibile effettuare la consulenza anche presso uno degli Avvocati iscritti all’Albo degli Avvocati e Procuratori di questo TEIB, anche se in tal caso non si può assicurare la gratuità della prestazione. Tale consulenza ha lo scopo di:
- verificare la sussistenza di un fondamento giuridico, tecnicamente definito fumus boni iuris (cioè fumo, parvenza di buon diritto), la cui presenza è condizione necessaria per poter iniziare un procedimento di nullità matrimoniale;
- individuare gli eventuali capi di nullità;
- fornire il necessario supporto per la preparazione del libello e per le informazioni utili a reperire i documenti da allegare al medesimo.
Le fasi che compongono il processo sono sostanzialmente quattro: la fase introduttoria, la fase istruttoria, la fase dibattimentale e la fase decisoria.
La fase introduttoria comprende:
- Individuazione del Tribunale competente a trattare la causa di nullità del matrimonio, di norma quello del luogo della celebrazione del matrimonio, o del domicilio o quasi-domicilio di una o di entrambe le parti, oppure del luogo in cui si deve raccogliere la maggior parte delle prove (canoni 1672 e 1673 del C.D.C. e articoli 8-21 della D.C.);
- Presentazione del libello da parte di uno dei coniugi (che è ‘parte attrice’) o anche di entrambi, qualora intendessero avanzare insieme la richiesta di nullità con il ‘libello congiunto’. Il libello è fondamentale anzitutto perché «il Giudice non può prendere in esame alcuna causa se non gli venga presentata domanda da parte di chi […] ha il diritto di impugnare il matrimonio» (articolo 114 della D.C. e canone 1501 del C.D.C.); in secondo luogo perché esso, tra l’altro, deve contenere, «anche se non necessariamente con parole tecnicamente precise, la ragione della domanda e cioè il capo o i capi di nullità per i quali il matrimonio è impugnato» (articolo 116 § 1 n.2 della D.C.), indicando, «almeno sommariamente, su quali atti e su quali mezzi di prova l’attore si basa per dimostrare ciò che si asserisce» (articolo 116 § 1 n.3 della D.C. e canone 1504 n.2 del C.D.C.). Le ragioni che andranno a costituire i capi di nullità devono necessariamente riferirsi al periodo antecedente la celebrazione delle nozze. Gli eventi e le circostanze avvenute in costanza di matrimonio aiuteranno nella ricerca della verità processuale;
- Citazione in giudizio dell’altro coniuge (che è “parte convenuta”), atto con il quale l’istanza comincia ad essere pendente (articolo 129 della D.C.), e contestuale designazione da parte del Vicario Giudiziale del Difensore del vincolo (articolo 118 della D.C.);
- Concordanza del dubbio, cioè la determinazione e la fissazione, da parte del Vicario Giudiziale, dei motivi giuridici (peraltro modificabili nel corso del processo, ai sensi del canone 1513 § 3 del C.D.C. e dell’articolo 136 della D.C.) per i quali si domanda la nullità e sui quali, dunque, si dovrà indagare. La formula del dubbio, infatti, «determina la materia che deve essere oggetto dell’indagine» (articolo 160 della D.C.) e la sentenza dovrà rispondere su tali capi. Contestualmente alla formulazione del dubbio, il Vicario Giudiziale costituisce il Collegio giudicante, formato da tre Giudici, di cui uno è il Presidente di Turno. A lui spetta designare il ponente tra i Giudici che compongono il Collegio; il Giudice Ponente, o relatore, può svolgere l’istruttoria della causa, deve fare la relazione della causa nella riunione dei Giudici, deve scrivere la decisione sotto forma di risposta al dubbio proposto e deve redigere per iscritto la sentenza (cf. D.C., art. 47).
La fase istruttoria, nel corso della quale vengono raccolte, sotto la guida del Giudice, le prove, che possono essere «di qualsiasi genere, sempre che esse appaiano utili per la decisione della causa e siano lecite» (articolo 157 § 1 della D.C.). Le prove vengono proposte dalle parti, private e pubbliche, o anche cercate e acquisite d’ufficio dal Giudice. Tali prove sono costituite dalla deposizione delle parti e dei testimoni, da eventuali prove documentali, da perizie (di parte e/o d’ufficio) e da presunzioni.
La fase dibattimentale, che, nell’ordine, contempla:
- La pubblicazione degli atti (canone 1598 § 1 del C.D.C. e articolo 229 § 1 della D.C.), con la quale, tramite un Decreto del Giudice, viene data facoltà alle parti, ai loro Avvocati e al Difensore del vincolo di prendere visione degli atti istruttori, con un effettivo esercizio del diritto di difesa. Durante tale fase possono essere avanzate dagli aventi diritto ulteriori richieste istruttorie, la cui utilità (e/o fondatezza) sarà valutata dal Giudice (articolo 236 della D.C.);
- La conclusione in causa, sancita con apposito Decreto emesso dal Giudice nel momento in cui ritiene che la causa sia stata sufficientemente istruita. In questa fase del processo le parti, generalmente tramite gli avvocati, espongono per iscritto, con facoltà di replica, le proprie argomentazioni a favore della dichiarazione di nullità o contro la medesima (articoli 243-245 della D.C.).
- La fase decisoria coincide con la riunione del Collegio dei tre Giudici, i quali possono dichiarare la nullità del matrimonio solo se hanno raggiunto, almeno a maggioranza, la certezza morale della stessa, ossia quando «resti del tutto escluso qualsiasi dubbio prudente positivo di errore, tanto in diritto quanto in fatto, ancorché non sia esclusa la mera possibilità del contrario» (articolo 247 § 2 della D.C.). Da annotare che il numero dei Giudici componenti il Collegio può essere elevato a cinque dal Moderatore del Tribunale nelle cause più difficili o di maggiore importanza (canone 1425 § 2 del C.D.C.).
La relazione della sentenza, debitamente motivata in diritto e in fatto, deve essere redatta dal Giudice entro un mese dalla decisione collegiale. È possibile che il Tribunale, qualora vi fossero fondate ragioni di ritenere che possa sussistere o ripresentarsi la situazione che ha determinato la nullità del matrimonio, decida di apporre il divieto a passare a nuove nozze ad una o ad ambedue le parti in causa, inconsulto Ordinario o inconsulto Tribunali. Tale divieto può essere in seguito rimosso previa consultazione dell’Ordinario del luogo del domicilio della parte richiedente la rimozione di detto divieto (articolo 251 della D.C.).
La Relazione della sentenza, una volta redatta dal Giudice relatore e sottoscritta da tutti i componenti del Collegio giudicante e dal Cancelliere del Tribunale, deve essere pubblicata e notificata alla parte attrice, alla parte convenuta e al Difensore del vincolo, i quali hanno 15 (quindici) giorni di tempo dall’avvenuta notifica per presentare formale appello al Tribunale di secondo grado o al Tribunale della Rota Romana. In caso contrario, la sentenza diviene automaticamente definitiva ed esecutiva. Prima della pubblicazione, la sentenza non ha alcun valore, neppure se il suo dispositivo, su autorizzazione del Giudice, fosse stato reso noto alle parti (Cfr. D.C., art. 257 e can. 1614 del C.D.C).
La parte che si sentisse gravata dall’esito della sentenza può interporre appello.
Appello
L’abolizione dell’obbligo della doppia decisione conforme non comporta necessariamente che, a seguito di un pronunciamento affermativo circa la nullità del matrimonio, si possa passare automaticamente a nuove nozze. Infatti, rimane salvo il diritto della parte, che non si ritiene soddisfatta della decisione, di appellare al tribunale superiore contro la decisione del Giudice.
Pertanto, sia in caso di sentenza affermativa che dichiari nullo il matrimonio, sia in caso di sentenza negativa che ne attesti la validità, la parte, che dissente da quanto deciso dai Giudici con sentenza, può presentare appello contro la medesima decisione, indirizzandolo, nel caso di questo T.E.I.B., al Tribunale Ecclesiastico Metropolitano Salernitano di Appello, che ha sede a Salerno, oppure al Tribunale Apostolico della Rota Romana.
Se invece le parti interessate non appellano, la decisione del T.E.I.B., trascorsi i termini di legge, diviene esecutiva. La Cancelleria del nostro Tribunale, dopo aver emesso il decreto di esecutività, provvede all’invio della documentazione all’Ordinario per la trascrizione nei registri di battesimo e di matrimonio. Solo dopo, le parti che lo desiderano possono accedere a nuove nozze. Ovviamente, se nella sentenza si fa menzione di un divieto (che può essere di due tipi: inconsulto Ordinario oppure inconsulto Tribunali), il passaggio a nuove nozze non è consentito prima che l’Ordinario del luogo o il Tribunale non decidano in merito alla sua rimozione.
I tempi per appellare
La decisione di appellare deve essere dichiarata al tribunale che ha emesso la sentenza entro 15 (quindici) giorni dalla ricezione della notizia della pubblicazione della sentenza; nel caso in cui si lasciasse trascorrere questo periodo, senza presentare la dichiarazione di appello, tale diritto viene perduto per quanto riguarda l’interposizione presso il Tribunale naturale di appello (Salerno).
Al Tribunale d’appello prescelto è necessario presentare una richiesta più completa, tecnicamente definita “prosecuzione di appello”, entro un mese dalla presentazione della dichiarazione di appello al T.E.I.B., corredandola con le ragioni a sostegno della contestazione della sentenza e dell’interposizione dell’appello stesso. Tale procedura, normalmente, viene eseguita con l’ausilio di un legale, fatta comunque salva la facoltà della parte appellante di procedere autonomamente.
Se l’appello rispetta le caratteristiche fondamentali suddette, il processo continua e la trascrizione dell’esito della sentenza e la conseguente possibilità di passare a nuove nozze rimangono sospese.
N.B.: La sola ricezione della notifica della sentenza affermativa non è sufficiente, come sopra accennato, per accedere a nuove nozze, pertanto non è consigliabile procedere ad una programmazione delle stesse prima che sia trascorso il termine entro il quale la controparte ha facoltà di presentare appello avverso la decisione del T.E.I.B.
Delibazione della sentenza in foro civile
In ordine alla delibazione delle sentenze di nullità matrimoniale ai fini del conseguimento degli effetti civili da parte dei Tribunali di Corte d'Appello italiani (secondo le norme del Concordato dell’11 febbraio 1929 e del Protocollo Aggiuntivo del 18 febbraio 1984), le parti potranno chiedere la relativa autorizzazione al Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica.
Se tra i due coniugi è già intervenuta una sentenza civile di divorzio, non si pone concretamente il problema dell’efficacia della sentenza canonica ai fini civili, perché è già stata dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio e, pertanto, è possibile contrarre un nuovo matrimonio concordatario, valido sia di fronte alla Chiesa sia di fronte allo Stato italiano.
Se invece non c'è una sentenza civile di divorzio, per contrarre un nuovo matrimonio concordatario è necessario uno specifico passo successivo (definito tecnicamente delibazione), affinché siano riconosciuti gli effetti civili dell’eventuale dichiarazione di nullità, passo da compiersi presso la Corte d’Appello e non di competenza del Tribunale Ecclesiastico.
Come richiedere il Decreto di esecutività civile
Qualora invece la persona interessata avesse intenzione di chiedere il riconoscimento civile della sentenza di nullità matrimoniale, dovrà far pervenire a questo Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano di Basilicata i seguenti documenti:
- Copia integrale e autenticata dell’atto di matrimonio religioso relativo al caso in questione (occorre la fotocopia autenticata del libro dei matrimoni, da richiedere alla parrocchia dove furono celebrate le nozze);
- Estratto per riassunto dell’atto di matrimonio rilasciato dal Comune in cui esso fu celebrato;
- Domanda per l'esecutività della sentenza agli effetti civili (utilizzando il facsimile allegato) con sottoscrizione della parte autenticata dal Comune o dal parroco.
- Ricevuta del versamento di € 78,00 effettuato tramite bonifico bancario a favore del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (IBAN: IT44N 02008 05008 00010 19270 96), riportando nella causale i cognomi delle parti.
- Ricevuta del versamento di € 70,00 effettuato tramite bonifico bancario a favore del Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano di Basilicata (IBAN: IT58 B0538 70420 40000 025133 67
– BPER Banca), riportando nella causale la dicitura “per diritti di segreteria” e i cognomi delle parti.
Ricevuti i documenti di cui sopra e trascorsi quindici giorni di tempo utile dalla notifica alle parti senza che la sentenza sia stata impugnata, questo T.E.I.B. provvederà ad inviare la pratica, con allegati gli avvisi di ricevimento delle raccomandate con le quali è stato notificato il decreto di pubblicazione della sentenza con allegata la motivazione, al tribunale competente, che farà a sua volta pervenire al richiedente il decreto d'esecutività civile. Qualora che il decreto d’esecutività civile fosse inviato a questo tribunale sarà cura dell’ufficio di Cancelleria notificarlo alla parte interessata a stretto giro di posta. Sarà dunque possibile cominciare il procedimento civile di delibazione.
Si prega la parte interessata di verificare l’esattezza dei dati contenuti nei certificati che invierà presso il nostro ufficio.
Si ricorda, infine, che la richiesta di emissione del decreto di esecutività civile non può essere proposta nel caso in cui ci si trovi in presenza di un matrimonio non concordatario (ovvero nel caso in cui rito civile e rito religioso siano stati celebrati in date differenti).
Si prega di intestare la busta contenente la richiesta di esecutività e tutti i documenti necessari come di seguito indicato:
All’attenzione della Cancelleria: Richiesta di Esecutività Civile
Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano di Basilicata
Viale Marconi, 104
85100 - POTENZA